PORTA (PD): COME IL GOVERNO CERCA DI FRENARE LE RICHIESTE DI CITTADINANZA ITALIANA IURE SANGUINIS



Con la legge di Bilancio per il 2025 è stata introdotta una norma (articolo 106) che aumentando i costi dei procedimenti legali per le controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana mira a disincentivare le richieste di acquisizione della cittadinanza. In particolare, la disposizione introduce una nuova regola in forza della quale viene previsto che il contributo dovuto per le controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana passi da 518 a 600 euro. Ma inoltre e soprattutto viene stabilita la novità secondo cui, anche se la domanda è proposta nel medesimo giudizio da più parti congiuntamente, il contributo è dovuto per ciascuna parte ricorrente (moltiplicando così i costi), mentre a legislazione vigente l’entità dell’importo (i 518 euro) non subisce variazioni in ragione del numero dei richiedenti. In pratica – come osservano molti giuristi dell’immigrazione e della cittadinanza – tutti i discendenti di emigrati italiani tra loro collegati, che oggi agiscono in giudizio insieme e pagano un unico contributo di 518 euro, ne pagheranno invece 600 a testa, quindi una somma che può anche essere molto elevata (spesso le cause riguardano congiuntamente 4 o 5 componenti della medesima famiglia): questo renderà spesso impossibile, per molte famiglie, la tutela giudiziaria del diritto. È ovvio quindi che questo provvedimento tende a penalizzare il diritto e la volontà di molti nostri connazionali di conseguire la cittadinanza italiana iure sanguinis. Da più parti si denuncia, più che l’aumento del contributo unificato, l’irragionevolezza del contributo multiplo per la stessa posizione processuale considerato che nella quasi totalità dei procedimenti civili instaurati simultaneamente e congiuntamente da più persone la regola è quella della unicità del contributo unificato per l’intero giudizio. È evidente che questa modifica della legge sulle spese di giustizia discrimina di fatto i richiedenti meno abbienti o comunque provenienti da Paesi economicamente più deboli come i discendenti di italiani in America Latina. Anche questo provvedimento, come quello sul blocco della perequazione automatica per decine di migliaia di pensionati italiani residenti all’estero, presenta profili di incostituzionalità e di disparità di trattamento in relazione a numerose sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, della nostra Corte di Cassazione e della Corte costituzionale. Infine, considerato che nella relazione tecnica allegata alla legge di Bilancio si evidenzia che la disposizione è suscettibile di generare un gettito in entrata per le casse erariali, che, in quanto di difficile quantificazione, non è stato prudenzialmente ascritto sui saldi di finanza pubblica, non è azzardato presumere che il vero obiettivo del provvedimento non è di natura economica ma di natura politica: scoraggiare cioè le richieste di acquisizione della cittadinanza italiana. Obiettivo che semmai andrebbe perseguito non eliminando – scoraggiandolo – un diritto ma intervenendo con una legge organica che valorizzi i legami storici, culturali e linguistici dei discendenti del mondo della nostra diaspora.

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